SHARON FERRARI

Qualche anno fa smisi di scrivere. Tra i mille pensieri che avevo, il fatto di non riuscire a trovare abbastanza tempo e costanza per sedermi e buttare giù qualcosa mi rendeva irrequieta e frustrata.
Pensavo che la cosa migliore fosse concentrarmi su altro. Ho abbandonato un po' tutto nel tentativo di trovare le cose che effettivamente mi appartenevano, così facendo, sono riuscita a capire cosa non ha spazio nella mia vita e cosa invece fa parte di me.

Scrivere è una specie di terapia, mi siedo senza aspettative, da sola, e senza nemmeno accorgermene le parole escono. A volte non ricordo nemmeno cosa ho scritto.

Tra il 2017 ed oggi, è come se ci fosse stato un ciclo, tipo i 365 giorni della terra. Ho passato tutte le stagioni, le ho vissute, le ho sofferte e finalmente sto tornando alla primavera. Non saprei che altra spiegazione darci. Se dovessi parlare spiritualmente credo ci sia stata un energia diversa in questi ultimi 6 anni. Crescita, riflessione, dolore, introspezione. Tutto in un flash, tutto vissuto appieno ma anche un po' frivolamente. Forse è la perfetta descrizione dei vent'anni. Cos'altro fai a vent'anni? Non sei ne un adulto ne un bambino. Sei lanciato nel mondo ma non hai idea di quali saranno le decisioni che andranno ad impattare la tua vita ma allo stesso tempo sono proprio le stesse che ti faranno diventare l'adulto che poi andrai a conoscere.


Personalmente sono felice di non avere rimpianti, ho fatto tutto quello che volevo e quasi sempre ho vissuto rispettando i miei ideali. Quando mi sono persa, ho sempre ritrovato la via in un modo o nell'altro e quelle strade alternative mi hanno insegnato più di quanto una strada sicura avrebbe potuto fare.

Arrivo al dunque. Dopo anni di ricerca, domande sul futuro, sul passato, su cos'è stato, cosa sarà, perchè sono quello che sono e perchè ho fatto quello che ho fatto, credo di aver finalmente trovato un equilibro. La palla rotonda su cui tutti ci troviamo non mi sembra sempre più accogliente e i contenitori che la gente si costruisce li capisco un po' meglio.
Ho deciso di vivere come voglio io, sapendo che non devo adeguarmi a nulla che non faccia parte di me, Perchè nel mondo ci sono mille modi di vivere quest'esperienza sulla terra e forzarsi in un box che non è il tuo fa male all'anima e ti fa perdere la bussola. Ma anche questo fa parte del gioco, perchè senza queste esperienze come sapresti cosa è giusto e cosa no?

La mia vita non sarà come quella di molti, e a volte anche io mi sono chiesta se non fosse il caso di adeguarmi. Ma era solo una mia paranoia, nessuno mi ha mai forzata, nessuno mi ha mai giudicata ed anzi, spesso ho ricevuto grande supporto, affetto e incoraggiamento.

Mi piace viaggiare, mi piace imparare, mi piace la natura, la vita fatta delle piccole cose. Mi piacciono le verdure che crescono nell'orto, mi piacciono i funghi che raccolgo nel bosco, mi piacciono i bambini che corrono scalzi e sanno arrampicarsi sugli alberi. Mi piace la pizza fatta nel forno a legna in giardino, le persone di buon cuore, gli amici che ridono, le birre, i fuochi all'aperto, la spontaneità, l'erba da tagliare, il rumore dei grilli in estate. Mi piace chi sa raccontare e chi sa ascoltare, chi si sa divertire e chi guarda il mondo con amore.

Ho deciso di vivere il prossimo anno cercando proprio questo, facendo ciò che amo, creando più cose da poter riguardare, e dando meno energia alle cose frivole.
In parole concrete il piano è di andare a vivere nel mio furgoncino, togliendo appunto ciò che è superficiale, focalizzandomi su ciò che mi piace, lavorando da remoto come ho (quasi) sempre fatto, costruendo qualcosa che spero possa durare a lungo termine e fermandomi quando ne sentirò il bisogno e la voglia.

Credo si prospetti un buon inizio.

Negli ultimi mesi ho notato una carenza significativa della mia produttività. Tra le tante cose, mi sono chiesta se potesse avere qualcosa a che fare con l'utilizzo del telefono.
Consultando screen time, quella fantastica voce alle impostazioni dell' iPhone, leggo con dispiacere che passo in media 36 ore e più a settimana al telefono. A fare cosa? Whatsapp occupa circa 9 ore a settimana di tempo, il resto è social, email, musica ma 14 di queste ore le occupa Instagram da solo.

Se guardo i numeri, trovo sconvolgente come io possa non accorgermi di aver buttato via 36 ore a settimana (un lavoro full time) al telefono. Ok, va bene, sono in vacanza, non devo lavorare al momento, ma ho mille progetti che potrebbero essere già stati completati se di quelle ore ne avessi usate anche solo la metà per lavorare a ciò che mi interessa. Detto questo, è necessaria una riflessione.

Parlando di Instagram, che è indubbiamente il mio social preferito, che cosa mi da quando consumo e non produco? Ricordiamoci sempre che quando un prodotto è gratis, il prodotto siamo noi. Non avendo mai acquistato nulla dai social, che cosa ci guadagnano loro? Facile, il mio tempo.
Di tutte le cose che potrei spendere, l'unica cosa che non posso recuperare è proprio il tempo.
Bisognerebbe essere abbastanza disciplinati da riuscire ad usare i social solamente a proprio vantaggio, come dovrei già saper fare considerando il mio lavoro. E invece mi ritrovo a dover cancellare app e darmi dei limiti perchè anche io vengo risucchiata da questa spirale di colori, balletti stupidi e canzoncine.

Ma è possibile utilizzare i social senza consumare?
Certo!

Se i social sono una distrazione come lo è la televisione per molti, non dovrebbe essere un problema se quel tempo viene ridotto al minimo, ma se iniziamo a passarci troppo tempo quando vorremmo solo sfruttarli a nostro vantaggio, ci sono delle app che possono aiutare.
Buffer ad esempio è la mia preferita, perchè aiuta a programmare i post su Instagram e li pubblica senza nemmeno doverci entrare. Idem per le storie, anche se quelle vanno pubblicate manualmente.

Ciò che personalmente trovo confortevole nell'avere sempre sotto mano il telefono è l'idea di poter parlare con qualcuno e sentire cosa la gente ha da dire. Ma perchè? Mi interessa davvero cosa Mariaverruca del paesello ne pensa della nuova crema che ha comprato? Oppure mi interessa che Gioacchino che non ho mai incontrato di persona sia andato a farsi la camminata sul monte dietro casa? Ma ovviamente no. Mi dispiace anche dirlo, perchè seguo tutti con apparente interesse, invece a fine giornata non mi ricordo assolutamente niente di ciò che ho guardato e di ciò che la gente ha fatto nel suo tempo libero.
Seguo gli aggiornamenti sull'Afghanistan con reale interesse, seguo i piloti di parapendio con reale interesse, e seguo gli amici stretti che non riesco a vedere tutti i giorni vivendo all'estero. Ma tutti gli altri? Quelle 400 persone o poco meno che seguo, chi sono? Nella vita reale riuscirei mai ad interagire e avere contatti di valore con 400 persone? No.

C'è anche da distinguere la vita reale con i social, certo. Non sto dicendo che è sbagliato, ma per far passare un concetto a volte è necessario portarlo all'estremo.
Questo significa che smetterò di seguire le persone? No. Significa che degli altri non mi interessa proprio? No. Significa che i social mi fanno schifo? Ancora no.
Significa solo che capisco come sia facile cadere in una trappola che è fatta per farci consumare contenuti togliendoci il tempo di crearne. La fantasia ha bisogno di tempo, la produttività ha bisogno di tempo ed essendo umani, tutte quelle piccole interazioni fatte di commenti alle foto e likes, ci fanno stare bene anche se sono per la maggior parte: finzione.

Voglio vedere a cosa potrebbe portare la noia quando non ha più sfoghi. Cosa farò delle mie 38 ore alla settimana senza Facebook, Instagram, TikTok e YouTube?

With love,
xx Sharon

Questa sera, mentre facevo una delle mie solite ricerche di marketing su vari profili social, ho avuto una rivelazione. Pensavo al tempo, che finalmente sembra essermi amico e io sembro ricambiare avendo capito come usarlo al meglio.
Mi sono chiesta quanto tempo buttiamo tutti i giorni a “scrollare” la home di Facebook senza sapere effettivamente cosa stiamo cercando.
Mi ricorda sempre un po’ la fame delle 3 di pomeriggio d’estate quando apri il frigo cercando qualcosa di buono ma ci sono solo degli yoghurt dai gusti improbabili, gnocchi immangiabili di una strana sottomarca e qualche limone che ha passato il suo tempo. Apriamo il frigo sperando di trovarci qualcosa di buono, ma l’unica cosa positiva che troviamo è l’aria fresca che ci da quel minuto di piacere. Appena il frigo si chiude, non rimane nulla se non la delusione. Lo stesso ragionamento vale per Instagram e i suoi milioni di foto e video, che sembriamo voler mostrare al mondo come per voler far sapere che abbiamo effettivamente una vita soddisfacente. Ma perché lo facciamo? Perché ne sentiamo il bisogno?

Se devo essere sincera i social non mi sono mai piaciuti, ma li uso e sembro non poterne fare a meno. Facebook mi piaceva per le discussioni interessanti che ogni tanto riuscivo ad avere e Instagram è diventato l’unico posto in cui ho condiviso le foto che sembravano andare bene secondo i canoni che mi sono prestabilita.
I lati negativi dei social a mio parere superano quelli positivi.
Certo, bellissimo poter vedere posti sparsi in giro per il mondo, bellissimo poter pianificare le vacanze o i viaggi di un weekend per andare a vedere quella grotta fighissima che hai visto su Instagram. Bello tenersi in contatto con amici che vivono lontani e poter vedere cosa fanno. Certo, bello anche sapere che impegnandosi con i social ci si può lavorare ed hanno creato milioni di posti di lavoro rendendo il marketing accessibile a tutti.
Ma ai contro ci si pensa? I luoghi che diventano super affollati grazie a quelle foto su Instagram, i bar che chiedono $10 per entrare e farsi una foto dal loro balcone con vista sulla piazza di Praga. Gli amici a cui non scriviamo più perché tanto sappiamo cosa stanno facendo, lo vediamo sui social. Bello anche lavorarci ma a quelli che lo sognano, si impegnano ma non ci arriveranno mai, chi va a dirglielo? Non c’è mica un colloquio per diventare Influencer, e il tempo buttato non torna. E i complessi che ci facciamo venire perché ci bombardiamo di perfezione, di ragazze con i vestiti svolazzanti tra i campi di lavanda, i tipi sulle barche in Thailandia con l’acqua cristallina e il fisico asciutto? E tutte le storie che postiamo, tutti i filtri che usiamo e tutte le foto alle cose che mangiamo. Tutto il tempo buttato per qualcosa che dura 24 ore, e poi non vede più nessuno. Mi chiedo tante cose e ad altrettante non trovo risposta. Mi rattristo a volte pensando che non c’è una soluzione. Vorrei tanto avere un manuale di istruzioni su come usare internet nel modo più utile possibile.

Riflettevo al mio modo di usare i social ed ho capito che online non sono chi voglio essere al 100%, perché continuo a rimettermi in questo box che mi sono creata in cui vanno bene solo un certo tipo di foto, un certo tipo di contenuti con un certo tipo di hashtags, per ottenerci qualcosa.
Il mio obiettivo principale è quello di lavorare in proprio, e per questo i social giocando un ruolo fondamentale. Quello che però non avevo mai considerato è che non deve essere necessariamente qualcosa di legato ad essi. Ci sono mille altre cose che amo fare di più che pubblicare foto per farmi piacere dagli altri.
Adoro alcune parti dei social, ed una di queste è appunto la parte “social”. Ho conosciuto ed incontrato tante persone incredibili negli anni grazie ad essi, mi ci sono tenuta in contatto, li ho seguiti nei loro viaggi ed ho amato poter vedere in diretta cosa facevano, perché in genere, seguo persone interessanti. Il problema è che non ci ho guadagnato nient’altro, o meglio non abbastanza per il tempo che ci ho speso.

Credo che questa rivelazione sia giunta dopo aver capito il vero valore del tempo. Prima ne sprecavo più di quello che usavo. Ho passato giorni interi senza alzare un dito, senza leggere, senza scrivere, senza muovermi.

Ricordo due anni fa quando il mio vecchio account che ho poi cancellato, aveva superato i 10’000 followers, mi ritrovavo sempre a pensare a dove sarei potuta andare per fare una bella foto da pubblicare, a come mi sarei potuta vestire e a cosa avrebbe attirato più attenzione. Ma per quale motivo? Per la visibilità.
Ho notato che nella vita reale, le cose funzionano esattamente come nei social. In genere le persone non sono realmente interessate a quello che hai da dire a meno che prima non ascolti quello che dicono loro, e a volte la voglia di parlare e dire la propria, supera quella dell’ascoltare. Mi chiedo perché non sono ancora riuscita a fregarmene come fanno le persone che postano foto dei fiori scattate male, del proprio cane, di loro stessi di fronte ad un monumento che nessuno ha mai visto o di quello che mangiano. Queste persone fanno esattamente quello che amano fare e cioè vivere la propria vita e pubblicare tutto quello che gli pare fregandosene della perfezione. Quindi la domanda che mi pongo è: “Perché siamo così ossessionati dall’essere riconosciuti? Perché vogliamo le attenzioni degli altri? Perché non riusciamo a fregarcene come chi pubblica le foto dei fiori scattate male?

Non mi succede spesso di non riuscire a dormire, sin da quando ho memoria, dormire è sempre stata una delle mia attività preferite. Ora lo è solo se sono stanca ed oggi non lo ero.
All’alba dei miei 26 anni e a quella del primo mese in Canada, sono cambiate tante cose a partire dal mio approccio alla vita. E’ una bella sensazione il sentirsi esattamente nel posto giusto al momento giusto e credo fosse un po’ che non mi capitava. Guardo fuori dalla finestra di questa bellissima camera, sono quasi le 6:30 del mattino e tra due orette le bambine si sveglieranno. Penso a come passa in fretta il tempo e a come due mesi fa stessi pensando che forse non sarei riuscita a partire e sorrido all’idea delle preoccupazioni che mi sono accollata per nulla.
Sento una pace che non credevo fosse più dentro di me, sono tranquilla e rilassata se penso al futuro e finalmente le idee scorrono senza essere bloccate da ansie e paure. Penso a tutto quello che già ho vissuto in poco meno di un mese qui, agli orsi che ho visto pascolare beati a pochi metri dai passanti, ai colibrì che vengono a mangiare dagli abbeveratoi fuori dalla finestra, penso alle uscite in mountain bike tutti assieme e alla velocità con cui ho imparato a sfidare i sassi, le curve e le discese. Penso all’euforia provata dopo il mio primo salto pulito e alla caduta di spalla in cui ho completamente lacerato la giacca anti pioggia che avevo addosso. Mi emoziono pensando alle opportunità che ho e alla bellezza delle esperienze che finalmente riesco a godermi e a vivere al 100%.

Il Canada è esattamente come me lo immaginavo. Un incontro con un orso è più facile che quello con un cervo, gli alberi altissimi sono parte dominante del paesaggio, la gente è cordiale, i fiumi scrosciano ricchi d’acqua glaciale e l’occhio si perde in un orizzonte verde, di montagne e natura tra le casette che modeste creano un tappeto di colori.

Lo shock culturale ormai non mi succede più, non posso certamente dire che il Canada sia come la Malesia, dove i colori, gli odori e i sapori sono un estasi per la mente e per il corpo. Questo posto ha le sue peculiarità, mille opportunità, è un posto in cui piantare le fondamenta per lanciarsi in un futuro stabile. Mi ricorda molto la Nuova Zelanda, la gente si trasferisce qui per condividere lo stile di vita che offre la montagna, dalla mountain bike al parapendio, al kite surf, all’arrampicata fino allo sci e al trail running. Adattarsi fa parte del gioco, che si parli di pizza con l’ananas, di camminare scalzi, di mangiare con le mani o di di dire “yeah nah”. Una volta imparati i trucchi, sentirsi una persona del luogo è facile e ti regala delle opportunità infinite che mai si otterrebbero da semplice turista.
Per ora, il Canada è un posto che mi sembra già di conoscere ma che ho solo osservato dalla finestra.


Canada

In una situazione così surreale non posso fare altro che arrendermi dinnanzi alla mia impotenza. Ho pensato che continuare a cercare una soluzione o una spiegazione, mi avrebbe dato pace.
Alla fine muovermi è quello che faccio anche se ci ho messo un po' a capirlo.
Viaggiare nutre la mia curiosità, e senza qualcosa di nuovo, mi sento persa. Tutte le mie credenze e le mie fondamenta iniziano a vacillare.
"Se non viaggio, che cosa so fare?"
Sembra una conclusione assurda, ma mi ci sono sempre appesa, forse per non pensare a cosa sarebbe successo se avessi smesso di farlo.

Invece da due settimane sono ferma, a casa. E per assurdo non posso nemmeno andare a passeggiare, come altri milioni di persone. La cosa però non mi rasserena e non mi da nessun tipo di consolazione.
Guardavo oggi le immagini delle acque limpide dei canali di Venezia, le foto dei delfini che sono tornati sulle coste, i pesci che si sono riappropriati dei fondali, le scimmie che in Asia sono tornate in posti dove non venivano viste da molto tempo e devo dire che questa è stata una bella consolazione.

Non voglio soffermarmi a parlare del mio pensiero sul COVID-19, che molti non vedrebbero di buon occhio. Voglio invece parlare della libertà che ci è stata tolta da un giorno all'altro.
Mi sono ripromessa di non aprire più Facebook, perchè mi sento debole di cuore di fronte a certe affermazioni scritte così facilmente da chi la libertà non l'ha mai assaporata.
Sentirsi liberi non si limita al poter uscire di casa o farsi la passeggiata della domenica. Non significa neanche prendere un aereo per andare in capo al mondo. Significa poter scegliere. Significa decidere cosa fare, quando farlo e farlo senza rimorsi.


Mi rattrista vedere la gente che si accanisce contro chi ha bisogno di andare a correre il pomeriggio da solo o chi decide di farsi una passeggiata al sole. Chiedere a 60 milioni di Italiani di stare chiusi in casa per il bene di persone che non sono i loro parenti non è semplice e non dovrebbe essere visto come un gesto che la gente fa in automatico, per il bene collettivo, se quel bene non è mai stato insegnato prima.
In Italia il bene degli altri viene dopo il proprio. Il portafoglio del tizio che lo ha perso, non va subito in Caserma, e se ci arriva, non è detto che ci arrivi intoccato. Quella volta che ci arriva, va festeggiata.
Non è una cosa che dico con leggerezza, perchè un esame di coscenza me lo sono fatto tante volte e non era pulita come speravo fosse. Vivere in Australia mi ha aiutato a capire che il bene collettivo non è automatico, soprattutto se non ti viene dato il buon esempio.

Come possiamo quindi aspettarci che tutti rispettino le regole? E non parlo di chi va a correre, di chi passeggia o di chi va al supermercato due volte al giorno per uscire di casa. Parlo di chi passa la giornata a rimproverare gli altri che scelgono cosa fare della loro vita. Parlo della gente ai balconi che si sente in diritto di richiamare chi passeggia, anche quando non è espressamente vietato. Parlo del tizio che a passeggio filma la squadra di rugby che corre a 2mt l'uno dall'altro.
Parlo della fiducia collettiva che manca, parlo delle persone che si sfogano sugli altri solo ed esclusivamente governati dalla paura, perchè la regola più importante, è quella di essere civili.

Potrebbe nascere l'obiezione solo nel momento in cui chi va a correre si mettesse a chiacchierare con i passanti o a starnutire addosso a chi incontra. E se quella persona dovesse cadere e finire in ospedale?
Quindi tu che vai a fare la spesa in macchina un incidente non lo puoi fare? Non potrebbe caderti la porta del frigo dei surgelati addosso al supermercato?


Capisco che non tutti la possano pensare come me, capisco che mi venga detto che i rischi non sono gli stessi, capisco che siamo un popolo socievole e passeggiata fa rima con chiacchierata ma la facilità con cui si pretende che un popolo si fermi anche quando si sa che alcuni non si rialzeranno, è ridicola.

Io posso permettermi di fare una riflessione così, senza metterci emozioni, semplicemente perchè non ho un lavoro fisso, al momento non ho una casa e non ho nessuno a cui badare. Ho la mia famiglia, ma non siamo in una fascia a rischio, tranne mia madre e i miei nonni che forse con qualche patologia pre-esistente potrebbero ricadere nella categoria.

Il mio pensiero però, anche se un po' perso per strada, voleva sottolineare l'importanza della libertà.
Ritengo che poter scegliere cosa fare della propria vita sia essenziale. Il ragionamento che implica che le persone non sono in grado di scegliere, non regge.
Sappiamo tutti cosa dobbiamo fare, ma spinti da una società che piuttosto che insegnarci ad usare il cucchiaio ci imbocca, a volte questa capacità viene meno.


In un mondo in cui tutti possono scegliere, siamo quello che dobbiamo essere e non quello che ci vogliono far diventare.
Di questo scenario accetto anche il peggio.

Per questo smetto di pensare e accetto che la mia realtà adesso è questa. Accetto che per molte altre settimane non potrò uscire e viaggiare.
Una cosa però è certa, quel giorno in cui potrò tornare a fare quello che amo, nonostante non avessi bisogno di un epidemia per ricordarmelo, sarà un giorno proprio speciale. Quel primo caffè al bar, quel viaggio in treno per andare a trovare le persone che mi mancano circondata da chi farà la stessa cosa, quella corsa, quel tramonto sulle montagne, tutto avrà un sapore che conosco benissimo e che mi emoziona sempre: la libertà.

With love,
xx Sharon

Tutti dobbiamo lavorare. Chi più, chi meno.

Da anni mi classifico come una di quelle persone che sogna ad occhi aperti e che parte per la tangente quando si tratta di riflessioni e pensieri sul senso della vita. Purtroppo o per fortuna non riesco a porre limite a questa mente insaziabile che sembra voler sempre trovare una spiegazione a tutte le mie domande.

La maggior parte delle persone che conosco non ama ciò che fa. E per ciò che fa intendo il proprio lavoro. Com'è che gli umani si sono costruiti questa routine fatta da un compito che inizia troppo presto e finisce troppo tardi, trascinato a fine settimana con malavoglia?

Mi è difficile accettare che per vivere una vita di gioie, dobbiamo lavorare.
Il sogno è avere un lavoro dove alzarsi la mattina non sembra un dovere, ma un piacere. Dove le otto ore passate in ufficio non fanno parte di qualcosa che dobbiamo agli altri, ma che facciamo per noi stessi. Dove il weekend non inizia il venerdì pomeriggio ma dura tutta la settimana.

Certo, è un utopia che molti neanche sognano. Il lavoro è lavoro e solitamente la parola non è associata a qualcosa di positivo. Ma allora perchè scegliamo di fare qualcosa per metà della nostra giornata, che non ci piace?
Spesso le persone non sono così privilegiate da poter decidere cosa fare della loro vita lavorativa.
Lo spirito di adattamento sembra essere una delle qualità necessarie per vivere senza stress e inutili pensieri che portano solamente a problemi senza reali soluzioni.
Il segreto è spegnere il pensiero razionale ed accettare di far parte di quelle persone che non vede l'ora arrivi il weekend. O forse è apprezzare ciò che si ha, nonostante non sia esattamente ciò che si vuole?

Nel mio caso specifico, lavorare significa potermi permettere di vivere in un posto incredibile in Nuova Zelanda.
Certo, potrei sempre aspirare a qualcosa di più comodo, di più affine a quello che mi piace fare, circondata forse da persone con passioni più simili alle mie.
Ma l'erba del vicino è sempre più verde e spesso accettare ciò che non ci va a genio diventa una qualità indispensabile per poter pianificare il futuro con meno stress e più attenzione.

Non sono mai stata brava ad accettare quello che non mi va a genio. Incluse le persone con pensieri diversi dai miei, chi non ama ciò che di logica andrebbe amato e chi sceglie una vita senza reale significato. Eppure facciamo tutti parte dello stesso cerchio, senza i pensieri negativi probabilmente non esisterebbero quelli positivi, non avremmo niente per cui batterci e tutto avrebbe meno importanza
Con il passare degli anni, riesco ad ascoltare chi parla di odio senza fargliene una colpa. Riesco a capire chi vive senza guardare avanti e chi agisce senza pensare alle conseguenze. Traggo preziosi insegnamenti da tutte le situazioni che non vanno come vorrei e cerco di imparare anche da chi una volta giudicavo.


Forse questo è ciò che dovrei applicare anche al lavoro. Trarre preziosi insegnamenti da quello che ho e non guardare a quello che mi manca, senza prima aver accettato quello che non mi piace. Che sembra uno scioglilingua ma rende bene l'idea se letto con pazienza.

Lascio questa riflessione nell'aria, agisco di conseguenza e lascio una foto che richiama un po' tutto.


Milford Sound

Lots of love,
xx, Sharon

Tra esattamente un mese e’ Natale.
Quando si viaggia, spesso il tempo diventa irrilevante, le ore servono solo per contare le scadenze.
Ci sono diversi modi di viaggiare, c’è chi viaggia da nomade, chi non si ferma mai, chi viaggia in bici, senza aerei, chi viaggia solo durante le vacanze, chi lo fa per rilassarsi e chi come me lo fa per sete di conoscenza.
Ho sempre pensato che il mondo fosse troppo piccolo per fermarsi in un solo posto. Il problema è che quando si viaggia troppo, si perde un po’ il contatto con la realtà.
Tra un mese è Natale e per me potrebbe essere il 4 giugno, non farebbe alcuna differenza.

Viaggiare non è facile come sembra. Tutto quello che possiedi deve entrare in una valigia che spesso deve pesare meno di 23kg. Ti devi abituare a dei cuscini sempre diversi, a dei letti scomodi, a bere dei caffè troppo amari, a svegliarti la mattina con una vista sempre diversa. Quando pensi al futuro non sai bene cosa ti aspetta, non sai se tra un mese dormirai nello stesso letto o se sarai in un Paese diverso.

Un minimo di pianificazione solitamente c’è, ma la vita spesso decide che i tuoi piani fanno schifo e te ne fa fare di nuovi. 
La Nuova Zelanda è il luogo più lontano rispetto all’Italia, forse anche il volo più lungo. Non era pianificato che io venissi a vivere qui, ma quando è capitata l’occasione, non ho esitato.

Questo dovermi confrontare con persone sempre diverse senza l’aiuto di nessuno, è l’unico modo che conosco per affrontare i miei limiti e cercare di superarli. 
Qui se non voglio chiamare il dottore per via delle mie paranoie, non ho nessuno a cui chiedere di farlo per me. Se non mi va di andare al supermercato, muoio di fame. Se spendo troppi soldi, nessuno mi aiuta. Se non ho voglia di lavorare, non ho una casa dove andare.

Certo, non serve andare in capo al mondo per superare i propri limiti, ma mentre sono qui a scrivere, con una mano mi massaggio le labbra cercando di pensare a quali parole usare e sento ancora l’odore del cloro della piscina dove siamo stati ieri.

Guardo fuori e e vedo i rami delle rose che si muovono impaurite dal vento, vedo le pecore in lontananza abbracciate dalle colline verdi. Sento gli uccellini che cinguettano felici nonostante la pioggia cada di traverso e penso a tutte le cose meravigliose che ho visto durante i miei viaggi.
Penso alle esperienze che ho vissuto, a tutto quello che ho imparato. Penso a quanto mi facessero paura i ragni prima di andare in Malesia, penso alla prima volta che vidi l’oceano, a tutti gli addii che poi sono sempre stati soli degli arrivederci. Penso alle lacrime che ho versato quando non sapevo cosa fare.
Penso all’ultimo giorno in Australia un anno e mezzo fa, a “Castle on the Hill” di Ed Sheeran che mi ha accompagnata in aeroporto a Melbourne con le lacrime agli occhi e l’ansia del bagaglio troppo pesante.

E’ il senso di libertà che bramo, è il poter dire di non vivere per lavorare, di sapere che il mondo è casa mia, ma per davvero. 
Chiudo gli occhi e penso a tutte quelle meravigliose persone che ho conosciuto, e non devo darmi una spiegazione. Viaggiare è un opportunità che va colta quando se ne ha voglia, non deve essere forzata e non tutti siamo fatti per vivere senza sapere cosa ci aspetta il domani.

 

Oggi sono esattamente 13 giorni di Nuova Zelanda, che per tante cose è molto simile all’Australia. 
E’ stranamente proprio come me l’aspettavo. I panorami mozzafiato, le praterie incredibilmente verdi, tutte quelle pecore che da lontano sembrano un campo infinito di margherite. 
Nuova Zelanda è Aotearoa in Maori, “la terra della nuvola lunga e bianca”.

Per il momento sono in una famiglia meravigliosa, con una bimba ancora più meravigliosa che rende le mie giornate impegnative ma piene di coccole e tenerezze. Di pianificato c’è davvero poco. Credo rimarrò qui fino ad aprile, per poi iniziare a viaggiare tra le due isole con un van camperizzato.

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p style="text-align: right;">Lots of Love
xx, Sharon

Proudly made with love  - Sharon Ferrari